A Primo Levi, scrittore, che ha vissuto relativamente libero e felice per un purtroppo breve periodo, in un territorio bagnato dal nostro Fiume Lambro, auspichiamo che gli sia dedicata la Fermata della metropolitana linea 2: Crescenzago Primo Levi e che, all’interno della stazione sia posta la sua poesia dedicata al territorio e ai suoi abitanti. Un doveroso omaggio a un obbligato testimone di un’epoca che speriamo non ritorni mai più.

1° luglio 1942: presso lo stabilimento della Società A.Wander S.A., in Via Meucci nel quartiere Crescenzago, viene assunto Primo Levi, laureato in chimica nel 1941 a Torino.

In quel periodo di discriminazioni alla Wander, società a capitale svizzero molto conosciuta per i suoi prodotti più noti come il Formitrol e l’Ovomaltina, era permesso assumere personale di qualsiasi appartenenza razziale. 

Fu qui che Primo Levi, destinato a effettuare ricerche su un medicinale ad assunzione orale contro il diabete, entrò in contatto con la Resistenza e nel settembre 1943, fuggito a Torino, entra in un gruppo partigiano che opera in Val d’Aosta.

Qui viene arrestato e deportato prima nel campo di raccolta di Fossoli e poi in quello di eliminazione di Auschwitz dove riesce fortunosamente a sopravvivere.

Tornato in Italia, alla fine del 1945 rientra alla Wander per dare le dimissioni (per correttezza era sempre stato mantenuto in servizio) e poi a Torino dove si dedicherà alla nuova vita di scrittore.

Il periodo vissuto a Milano viene narrato in un capitolo, “Il Fosforo”, nella raccolta di racconti “Il Sistema periodico” e, sempre a quel periodo appartiene la sua prima poesia, “Crescenzago”, che riportiamo di seguito:

Tu forse non l’avevi mai pensato,

Ma il sole sorge pure a Crescenzago.

Sorge, e guarda se mai vedesse un prato,

E non li trova, e con il viso brutto

Pompa vapori dal Naviglio asciutto.

Dai monti il vento viene a gran carriera,

Libero corre l’infinito piano.

Ma quando scorge questa ciminiera

Ratto si volge e fugge via lontano

Che il fumo è cosi nero e attossicato

Che il vento teme che gli mozzi il fiato.

Siedon le vecchie a consumare l’ore

E a numerar la pioggia quando cade.

Della polvere spenta delle strade,

E qui le donne non cantano mai,

Ma rauco e assiduo sibila il tranvai.

A Crescenzago ci sta una finestra,

E dietro una ragazza si scolora.

Ha sempre l’ago e il filo nella destra,

Cuce e rammenda e guarda sempre l’ora.

E quando fischia l’ora dell’uscita

Sospira e piange, e questa è la sua vita.

Quando nell’alba suona la sirena

Strisciano fuor dai letti scarmigliati.

Scendono in strada con la bocca piena,

Gli occhi pesti e gli orecchi rintronati;

Gonfian le gomme della bicicletta

Ed accendono mezza sigaretta.

Da mane a sera fanno passeggiare

La nera torva schiacciasassi ansante,

O stanno tutto il giorno a sorvegliare

La lancetta che trema sul quadrante.

Fanno l’amore di sabato sera

Nel fosso della casa cantoniera.

Crescenzago, febbraio 1943