Milano e l’acqua: un connubio “vitale” con la sua storia – PARTE SECONDA
In questa seconda parte, dopo aver visto il saggio che tratta dell’acqua a Milano dal punto di vista storico, si esamina quanto riportato nel volume “Les rivières urbaines et leur pollution”, che illustra le vicende della qualità delle acque del Lambro, messe a confronto con quelle dei fiumi che attraversano tre importanti metropoli europee: Parigi, Bruxelles e Berlino. Questa seconda nota si conclude con un altro saggio sull’evoluzione storica dell’approccio alla gestione della risorsa idrica.
L’acqua a Milano nei tempi recenti
È sempre difficile separare il passato dal presente se si tratta di raccontare una grande metropoli come Milano. Ciò è evidente, continuando a presentare gli altri due saggi che trattano il rapporto tra la città e l’acqua, se si entra nell’aspetto specifico del come sia stato conflittuale questo rapporto negli ultimi due secoli visto con gli occhi di oggi.
Questi aspetti vengono illustrati in modo molto ampio in “Milan, sa nappe et le Lambro: la quantité au détriment de la qualité”, che costituisce il Capitolo 4 del volume curato da Laurence Lestel e Catherine Carré (2017), nel quale gli Autori mettono direttamente il dito nella piaga del conflitto tra abbondanza d’acqua e scarsa coscienza che i milanesi hanno posto per impedirne il deterioramento. Il capitolo, però, ha il grande merito di legare le problematiche delle acque del reticolo superficiale con quello delle acque sotterranee, da un lato, e dall’altro di illustrare in modo moderno l’estrema complessità dell’idrologia milanese, che ne fa un caso unico, ad iniziare dalla non così nota confluenza, proprio nella città, dei fiumi Olona, Seveso e Lambro Settentrionale, che poi sfociano nel ramo del Lambro che finisce nel Fiume Po a Orio Litta. Una complessità evidenziata anche da un punto di vista storico come strumento interpretativo, che permette di comprendere l’intreccio tra reticolo naturale e artificiale costituito dai navigli e da canali costruiti in almeno dieci secoli per far fronte ai crescenti bisogni di una città in continua evoluzione. Come già accennato, anche le acque sotterranee trovano ampia trattazione sia dal punto di vista geologico che idrogeologico, con una attenzione particolare agli aspetti quantitativi dei livelli della falda in relazione sia ai consumi idrici, essendo questa la principale sorgente potabile della città, che quelli industriali, ma anche ai livelli di compromissione chimica raggiunti nella seconda metà dello scorso secolo. Il capitolo, infine, tratta delle azioni messe in atto in tempi recenti sia nel contenimento delle pressioni che nelle azioni gestionali, che lasciano intravedere un possibile recupero sia delle acque superficiali che di quelle di falda.
Il maggior pregio del volume di Laurence Leste a Catherine Carré è però quello di comparare tra loro l’origine dei problemi della qualità delle acque alle soluzioni intraprese per il loro recupero nelle città di Parigi, Bruxelles, Berlino e Milano. Una comparazione che, giungendo a conclusioni sorprendentemente simili, testimonia della unicità dei problemi e della similitudine delle soluzioni. Emerge bene, infatti, che nonostante Milano abbia fatto fronte in ritardo, rispetto ad altre megalopoli, al degrado della qualità delle proprie acque superficiali, in tutte le città si evidenzia una convergenza recente dei risultati positivi a testimonianza da un lato dell’impegno gestionale, ma dall’altro del diffondersi in modo progressivamente crescente di una forte coscienza ambientale nella società e, di conseguenza, delle politiche messe in atto.
Un excursus temporalmente ampio due millenni della gestione delle acque, che consente di comprendere come l’approccio si sia evoluto nel tempo, è riportato dal secondo saggio di Stefano Polesello, “La gestione del ciclo delle acque tra storia, scienza e letteratura”, che richiama l’attenzione alle vicende recenti della gestione delle acque proponendo una riflessione sulla positiva reattività degli ecosistemi acquatici agli interventi di salvaguardia dalle pressioni inquinanti.
Il racconto di Polesello fornisce interessanti riflessioni storiche sulla pianificazione urbanistica della distribuzione dell’acqua a partire dall’epoca repubblicana romana, che nasceva dalla consapevolezza che la qualità dell’acqua superficiale, specie in una zona intensamente urbanizzata, non garantiva la salubrità sufficiente per la potabilità. Quello che colpisce ancora oggi di quella consapevolezza di ingegneria idraulica è non solo il sistema di adduzione e distribuzione dell’acqua “pulita”, ma soprattutto la gestione “integrata” del ciclo dell’acqua dalla sorgente allo scarico controllato dei reflui urbani.
Partendo dagli assunti “romani”, il saggio giunge a descrivere, attraverso richiami storici, come si è giunti ai moderni sistemi fognari e alle tecnologie di depurazione delle acque, l’ultimo passaggio indispensabile per restituire all’ambiente in modo consono le acque “usate”. Il richiamo alle tecnologie del passato consente di giungere a quelle presenti con una riflessione ai sistemi di trattamento avanzati in un’ottica di economia circolare, che fa rivalutare le acque reflue e i fanghi derivanti dalla loro depurazione non in termini di rifiuto ma bensì di risorsa. Un cambiamento paradigmatico che è in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals) 2030, azione adottata da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite nel 2015, che fornisce un modello condiviso per la pace e la prosperità delle persone e del pianeta, ora e nel futuro.
Il saggio di Polesello si conclude richiamando la propria attenzione sul “fiume di Milano” che nella parte alta del suo percorso “nobilita” le proprie acque formando il principale corpo lacustre della fascia Briantea: il Lago di Pusiano. Questo lago per quasi mezzo secolo ha rappresentato un triste esempio di progressivo degrado dovuto alla crescente antropizzazione del territorio conseguente all’impatto dei reflui urbani e industriali, al pari degli altri laghi insubrici. Un richiamo che serve a riportare l’attenzione sull’importanza dei servizi ecosistemici che un fiume come il Lambro ha ancora in serbo per tutti i cittadini che vivono nel suo bacino. A questo proposito un’ultima riflessione che merita riportare, anche se basata su un saggio (Tartari e Stefani, 2014) non incluso tra quelli oggetto di questa nota, riguarda l’evoluzione dello stato della qualità di questo fiume nell’ultimo mezzo secolo basata su una raccolta di dati storici raccolti in un database di nome SOLAD, che l’Osservatorio si è fatto carico di aggiornare e di cui si parlerà in una successiva occasione.
RIFERIMENTI AI SAGGI CITATI
Polesello, S. 2018. La gestione del ciclo delle acque tra storia, scienza e letteratura. Istituto Lombardo (Rend. Scienze) 152: 3-18. L’articolo è open access e si scarica dal sito: https://bit.ly/3jzSsT7
Lestel, L et C. Carré (Coordinatrices). 2017. Chapitre 4: Milan, sa nappe et le Lambro: la quantité au détriment de la qualité. In:, Les rivières urbaines et leur pollution. Èditions Qae, NSS_Dialogues. 123-134. Il volume è acquistabile in libreria o on-line.
ALTRI RIFERIMENTI
Tartari, G. e F. Stefani. 2014. La megalopoli milanese e l’evoluzione secolare della qualità delle acque del Lambro. Lab, Settembre-Ottobre: 82-85.
Gianni Tartari è associato di ricerca senior del Consiglio Nazionale delle Ricerche presso l’Istituto di Ricerca sulle Acque (CNR-IRSA). Già Dirigente di Ricerca, esperto di circolazione di inquinanti e di qualità delle acque (laghi e fiumi). Si è occupato e si occupa di eutrofizzazione, degli effetti dei cambiamenti climatici sui corpi idrici, del monitoraggio dell’impatto antropico sulla qualità delle acque e altro ancora. E’ stato nominato European Climate Pact Ambassador 2021