Milano e l’acqua: un connubio “vitale” con la sua storia – PARTE PRIMA

Come anticipato nell’Introduzione, ecco la prima parte riguardante il saggio di Stefano Polesello e il volume di Maurizio Brown e Pietro Redondi.

L’acqua a Milano nella storia

Nel primo saggio Stefano Polesello narra che “La storia di Milano galleggia sull’acqua”. Richiamando le parole di meraviglia di un frate pellegrino che giunge nella città alla fine del ‘200, tratteggia in modo semplice ma incisivo e ironico sia i pregi per la vita quotidiana, derivanti dalla ricchezza di acque superficiali e sotterranee, ma anche la funzione fondamentale per la sanità pubblica di fiumi e canali che trascinano via “le lordure” evitando le malattie.

Il saggio di Polesello, scritto in occasione dei 500 anni dalla morte di Leonardo Da Vinci per una iniziativa di MM, l’azienda cittadina preposta alla gestione delle risorse idriche, e realizzata in collaborazione col Consiglio Nazionale delle Ricerche, richiama i lunghi periodi della vita del Genio trascorsi a Milano, le cui opere hanno lasciato segni indelebili, ne ricorda l’amore per l’acqua, le curiosità e come le sue osservazioni assumano man mano una connotazione scientifica che certamente sono state alla base delle opere ingegneristiche che hanno modificato la struttura della città, ma anche permesso di incrementarne il ruolo di potenza economica.

Il breve saggio si conclude richiamando le vicende recenti della depurazione delle acque reflue milanesi come esempio paradigmatico del conflitto tra abbondanza e scarsa protezione della risorsa idrica, che per troppo tempo ha caratterizzato la storia della città di Milano.

Il secondo saggio di Brown e Redondi, nell’approfondire in modo mirabile il ruolo tra la città, l’acqua e l’agricoltura, per certi versi esaltano in positivo il conflitto citato fra abbondanza e scarsa cura per le acque dei milanesi, facendo emergere dall’oblio le marcite che, prima dell’espansione prorompente dell’area urbana nel XIX secolo, rappresentavano un prototipo di sistema depurativo efficientemente utilizzato per secoli a fini agricoli, con il duplice vantaggio dello smaltimento dei reflui e di uno sviluppo agricolo che consentiva la sussistenza della città. Le marcite hanno per oltre sei secoli rappresentato, infatti, un sistema “depurativo” di eccellenza. Un sistema talmente originale e ben funzionante da divenire oggetto di studio ed attenzione anche di ingegneri provenienti da altre importanti metropoli in espansione nell’800, come Parigi e Londra che, analogamente a Milano, avevano sempre più difficoltà a gestire i propri reflui urbani.

Il volume di Brown e Redondi, però, offre una visione molto più ampia delle “acque milanesi”. Nella prima metà del libro, prima di entrare nella dettagliata descrizione della nascita, espansione ed utilizzo secolare delle marcite, viene tratteggiato un inquadramento storico e geografico prezioso, per dettagli e riferimenti storici, del reticolo idrografico dell’area urbana e di quella agricola immediatamente a valle. Un esempio esemplare a riguardo è l’illustrazione della Vettabbia come “flumen mediolanensis” in cui l’autore del capitolo (Prusicki) compie un ampio excursus che consente al lettore di comprendere i differenti ruoli che il corso d’acqua ha assunto con l’evolversi delle condizioni sociali ed economiche di Milano, descrivendo molto bene le necessità di razionalizzare il sistema idrografico della città. Pregevole è anche la descrizione del funzionamento delle marcite e dell’ingegno cistercense nell’approntare un sistema irriguo unico, basato sull’intelligente osservazione del territorio lombardo e sulla capacità dei monaci a districarsi “politicamente” tra i vari conflitti a seguito della loro espansione “economica”. Anche Brown, allargando l’orizzonte agli ultimi due secoli (XIX e XX), nell’accennare al successo economico della città di Milano illustra il progressivo bisogno di razionalizzare il sistema di collettamento dei reflui urbani.

Questo bisogno di “modernità” che si sviluppava in modo pressante nella seconda metà del XIX secolo rispondeva in realtà più a bisogni materiali che ideologici. Brown descrive bene, infatti, come fosse il giusto contributo di nutrienti (in termini di quantità e qualità) che le acque di fogna utilizzate nelle marcite davano a garantire l’elevata produttività agricola, ma con la stessa cura illustra come la “civiltà industriale” progressivamente avvelenò quelle acque di fogna portando alla necessaria costruzione di una moderna rete di collettori, capaci anche di risolvere il problema dell’aggravarsi delle condizioni igieniche cittadine.

RIFERIMENTI AI SAGGI CITATI

Brown, M. e P. Redondi. 2017. Dalle marcite ai bionutrienti. Passato e futuro dell’utilizzo agricolo delle acque usate di Milano. Guerini e Associati, Milano. 205 pp. [Il volume è acquistabile in libreria o on-line.]

Polesello, S. 2019. La storia di Milano galleggia sull’acqua. In: G. Eccher & G. Palumbo. Le cose portate dall’acqua. Comics&Science. CNR Edizioni e Symmaceo Communications: 27-29. L’articolo è open access e si scarica dal sito: https://www.cnr.it/it/comics-and-science

ALTRI RIFERIMENTI

Minelli, A. (A cura di). 2002. Risorgive e fontanili. Acque sorgenti di pianura dell’Italia Settentrionale. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Museo Friulano di Storia Naturale, Comune di Udine. Quaderni Habitat. 82 pp. L’articolo è open access e si scarica dal sito: https://bit.ly/2MKtm8c

Segue a breve la Parte II dell’articolo. Buona lettura!